di Hasan Noori, Iran/Afghanistan/Qatar 2019, 72′
Akbar, Soori, Mohammed e Hakim sono figli di genitori afghani fuggiti in Iran, e sono gli unici immigrati del Paese ad aver formato una rock band. Finora è mancata loro l’opportunità di suonare dal vivo e il grande giorno è arrivato. Quando decidono di partire per Kabul i loro famigliari sono contrari e preoccupati ma i giovani non si fermano; solo una volta arrivati si rendono conto dei rischi che stanno affrontando. L’Afghanistan, la terra dei loro genitori, è ancora un posto molto pericoloso. Un film sorprendente su una generazione che vuole seguire le proprie passioni e rompere con le regole della tradizione, ma si confronta con contesti inospitali e insicuri.
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Documentario disponibile online su festivalscope.com/
da domenica 11 ottobre alle ore 21.00 a martedì 13 ottobre a mezzanotte
Accesso limitato a 400 posti virtuali
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Proiezione e dibattito live: martedì 13 ottobre, Cinema Massimo 1, ore 21
con Alidad Shiri (giornalista) e Samir Garshasbi (curatore di Mediorientarsi e attivista)
“Afghanistan, Iran e Italia. Migrazioni, tra discriminazioni e inclusione”
Alidad Shiri era un bambino nella città di Ghazni in Afghanistan, dove ha visto la gioia nelle relazioni familiari e nelle amicizie, ma anche l’orrore di un’ orribile guerra che ha distrutto intere famiglie. Camminando per le strade era normale vedere cadaveri di persone uccise lasciate sul posto, rumori di esplosioni e scie di proiettili che passavano sopra le case. Nell’infanzia di Alidad le donne non potevano lavorare e alle ragazze era impedito di frequentare la scuola. Dopo 40 anni di guerra la situazione è migliorata – si pensi alla maggiore libertà per le donne, sia nel lavoro, che nell’istruzione, che nell’informazione e nella partecipazione alla vita politica. Tuttavia il ritorno dei talebani è alle porte. Gli uomini continuano a scappare, portando con sé anche le donne e i bambini, perché non si vedono prospettive di un futuro stabile. Cosi affidano il loro destino ai trafficanti, divenendo dapprima richiedenti asilo in Pakistan, e in seguito passano in Iran dove non viene riconosciuto loro alcun diritto. Semir Garshasbi ricorda a questo proposito come la regolare violazione dei diritti umani e il fondamentalismo di matrice religiosa caratterizzino l’attuale situazione iraniana; la fratellanza musulmana viene invocata e strumentalizzata per creare coesione interna ma non per includere i molti stranieri che vivono ai margini in questo Paese. Per i migranti afghani seguono tre strade: l’Europa, l’Australia, e per alcuni l’America del Nord. Il viaggio dura anni, spesso sospesi tra la vita e la morte, affrontando fame, sete, violenze psicologiche, fisiche e sessuali, torture e carcere. Molti si perdono per strada, per quelli che arrivano a destinazione iniziano i nuovi difficili percorsi per giungere al riconoscimento dello status di rifugiato. In Italia, nonostante le politiche di chiusura degli ultimi anni, l’inclusione dei richiedenti asilo funziona soprattutto grazie alle forze vive del terzo settore. Tuttavia i rifugiati vivono sulla loro pelle uno strisciante razzismo che è indipendentemente dalle ideologie politiche, e che porta una parte della popolazione a vedere i nuovi cittadini come persone da evitare. Un’altra parte li vede come bisognosi di aiuto, al massimo testimoni di una storia, ma quasi mai come membri partecipi della società con idee e progetti da sviluppare. Questo riconoscimento è fondamentale per realizzare una società davvero inclusiva nei fatti, non solo a parole.