Si passa dai vicoli della Medina di Fez ai vicoli di Genova: quattro fratelli raccontano il loro processo di integrazione in Italia. Sono figli di uno dei primi immigrati marocchini che negli anni ’70, ignaro di distanze e costi di un paese sconosciuto, spese tutti i suoi risparmi per pagare un taxi che lo portasse da Roma a Genova. Ma la storia di Lahcen Khay è destinata a rappresentare anche il coronamento di un sogno che accomuna tutti gli emigranti: negli anni trascorsi a Genova è riuscito ad aprire un’attività commerciale e a crearsi una famiglia, così che alla fine degli anni ’90 ha deciso di ritornare nel suo paese da uomo “ricco”. A Fez, in Marocco, Lahcen apre il Cafè Genova, simbolo di un sentimento nostalgico e di un attaccamento alla realtà italiana.
Lahsen racconta infatti le difficoltà del ritorno e il suo spaesamento: dopo 30 anni in Italia, a Fez si è dovuto creare un’altra nuova vita. Ma è nella sua terra d’origine che vuole trascorrere la vecchiaia. A Genova continuano a vivere i suoi figli, ormai integrati e convinti di voler restare in Italia (“un luogo, non solo dove lavorare ma anche dove vivere”). Quattro fratelli che sentono in maniera molto diversa l’equilibrio tra volontà di conservazione delle tradizioni e desiderio di integrazione: un commerciante “dal carattere genovese” che studia architettura, un macellaio con una figlia che lo rimprovera se parla “marocchino”, un assistente dell’ARCI all’ufficio immigrazione che aiuta i nuovi arrivati, e l’unica figlia donna che ricorda ancora con molta fatica il processo di integrazione e sente molto la mancanza del padre.